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Ucraina: verso la Legge Marziale?

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Zero dollari. E’ la somma erogata dal Fondo Monetario Internazionale all’Ucraina dal 5 agosto 2015 ad oggi. E tale resterà almeno fino a settembre. Nessuna traccia, quindi, della tanto sospirata “terza tranche” da 1,7 miliardi (le prime due, per complessivi 6,7 miliardi, vennero pagate a stretto giro nel 2015) che Kiev aspetta da ormai un anno in una atmosfera di panico crescente. Ancora martedì scorso il Primo Ministro Groysman si diceva fiducioso sul prossimo arrivo di un miliardo prima dell’estate: soldi destinati a rimpinguare le riserve di valuta pregiata della Banca Centrale. Venerdì la doccia fredda: Jerry Rice, della Direzione Relazioni Esterne del FMI, ha annunciato che non erano calendarizzate sedute del consiglio di Amministrazione prima della pausa estiva ed è così che il Ministro delle Finanze Danyluk ha appreso del “piccolo ritardo” (parole sue) nell’erogazione della tranche.

La dinamica stessa degli eventi rivela come le relazioni fra il governo ucraino ed il Fondo siano al minimo storico, dopo che la Rada ha approvato una moratoria sui crediti di Neftogaz nei confronti dei consumatori specificamente proibita dagli emissari di Madame Lagarde  e dopo che il FMI ha depositato un rapporto devastante sul mercato azionario ucraino, descritto alla stregua di un far west in cui vale solo la ragione del più forte.

"dove sono finiti, tutti i soldi ?"

“dove sono finiti, tutti i soldi ?”

Il che ovviamente è sacrosanta verità, ma una verità che negli anni passati ben ci si guardava dal riconoscere per la chiara ragione che al tempo il Fondo subiva pressioni politiche ora cessate o attenuate. E’ ormai palese che il “punticino” di crescita assegnato dalla Banca Mondiale all’Ucraina come previsione per il 2016 senza i soldi del Fondo diventa una chimera, come chiaramente annunciato dalle notizie economiche (e ci limitiamo a quelle di questa settimana): 800 milioni di dollari di perdite in seguito al ritiro brasiliano dal progetto per il vettore Ciclone, falliti i cantieri navali di Kherson, impianto chimico portuale di Odessa chiuso  a causa dei colossali debiti pregressi dopo che l’asta per la sua privatizzazione è andata deserta, produzione industriale di nuovo giù a giugno dopo che la caduta si era arrestata nel primo trimestre del 2016.

Comunque il ritardo della tranche del FMI espone quale settore a maggiore rischio quello bancario, che nel primo trimestre del 2016 ha sommato 7,7 miliardi di dollari di perdite ai 120 già contabilizzati nel biennio precedente. Solo con i soldi del FMI si può arrestare il collasso, posto che oggi le banche insolventi sono 78 (il 30% del sistema) e che senza inversioni di rotta il panorama bancario del paese potrebbe desertificarsi entro breve, con ripercussioni sull’economia difficilmente valutabili ma comunque gravissime.

Tuttavia non tutte le banche soffrono di crisi di liquidità: International Investment Bank, di cui Petro Poroshenko detiene il 60%, macina profitti su profitti vedendo aumentare il suo valore da 5,5 a 6,14 miliardi di dollari in pochi mesi avviandosi a diventare la principale istituzione del paese.

E’ precisamente questa (tutti ci perdono tranne Poroshenko e il suo clan) l’intersezione fra la prospettiva economica della crisi e quella politica. Lo scorso 20 maggio, nelle nostre note sugli sviluppi della crisi ucraina, scrivevamo che il risultato della politica atlantica in Ucraina sarebbe stato quello di “consegnare il paese a Poroshenko facendone una specie di dittatore di Bananas, con il compito di fare ingoiare a suon di manganellate alla gente il disastro che si spalancherà se e quando il Fondo Monetario dovesse chiudere i cordoni della borsa”.  E’ uno scenario che si sta realizzando a ritmo travolgente: Poroshenko vuole diventare Re di quello che resta dell’Ucraina  e i suoi strumenti principali sono due: la crisi, che distrugge tutto e tutti eccetto lui e le sue fortune, e Iury Lutsenko, l’ex galeotto che il Maidan ha portato prima alla guida del gruppo parlamentare di Poroshenko alla Rada, e poi, dopo la destituzione di Shokin, al posto di Procuratore Generale del Paese.

Groysman e Lutsenko: gli uomini del Presidente

Groysman e Lutsenko: gli uomini del Presidente

Un fucile spianato contro tutti gli avversari politici del Presidente: persone, intendiamoci, piene di scheletri negli armadi, che possono essere trascinate in tribunale nel nome della “lotta alla corruzione” richiesta con tanta insistenza dalle anime belle del Congresso e del Parlamento Europeo. Si ottiene così un duplice risultato: accreditarsi presso i partner occidentali come paladini del buon governo e colpire gli avversari politici  con accuse di corruzione che nemmeno bisogna faticare a costruire, incamerandone gli assetti e rafforzando il potere presidenziale. Fra i pochissimi commentatori occidentali che hanno capito l’antifona  un ammiraglio americano in pensione che commenta per il Washington Times l’autorizzazione a procedere concessa la settimana scorsa dalla Rada (su richiesta del Procuratore Lutsenko) contro Oleksandr Onishchenko, l’ennesimo magnate salvatosi dal Maidan con un tempestivo cambio di casacca e accorso al banchetto di Poroshenko per poi scoprire di esserne la portata principale. Scrive l’ammiraglio (da posizioni anti russe):

“Come sottolineato dal commentatore della Reuters Josh Cohen nell’Ucraina di oggi la corruzione è così terribile che imbarazzerebbe un Principe Nigeriano. Come documentato Cohen “più di 12 miliardi all’anno scompaiono dal bilancio dello stato, secondo un consigliere dell’Ufficio Anti Corruzione Nazionale. Nel suo recente rapporto sugli andamenti globali, Transparency International, l’agenzia di valutazione della corruzione, ha classificato l’ucraina 142ma su 174 paesi valutati per Corruzione Percepita, dietro Uganda, Nicaragua e Nigeria. “La corruzione peggiore” dice Cohen “si trova nello snodo fra uomini d’affari – oligarchi e ufficiali governativi. Un piccolo numero di oligarchi controlla il 70% dell’economia ucraina, e negli ultimi anni si è impadronito delle istituzioni politiche e giudiziarie. Procuratori ed oligarchi sono collusi in un sistema di cui tutti traggono vantaggio tranne l’uomo della strada”. Una della maggiori opportunità di corruzione risiede, ironicamente, nel processo di riforme e nella “lotta contro la corruzione” medesima, che consente un uso propriamente discriminatorio del potere governativo per premiare i clienti e punire gli avversari. Per esempio, come notato dall’esperto ucraino Taras Kuzio, tre politici ucraini di partiti filo occidentali sono stati pubblicamente ed aggressivamente arrestati solo per essere decaduti dal favore di Petro Poroshenko. Per esempio il parlamentare Oleksandr Onishchenko del Partito Volontà del Popolo Ucraino, una fazione che sostiene l’integrazione europea è stato dimissionato dal gruppo di Poroshenko per avere venduto gas natural a prezzi ridotti. In una pagina tratta dagli anni di Janukovich i “riformatori” di Poroshenko agiscono come giudici, giurie e carnefici, e cercano di arrestare Onishchenko e di lanciare una campagna diffamatoria contro di lui. Senza prove evidenti che colleghino Onishchenko ai suoi supposti crimini, le sue vere responsabilità paiono ridursi al competere con interessi oligarchici nel lucrativo mercato del gas ucraino. L’ ex Primo Ministro filo occidentale Yulia Tymoshenko, già ingiustamente imprigionata da Janukovich per oltre due anni ha messo in dubbio i motivi dell’ indagine su Onishchenko così come quelle sul conto di molti imprenditori ucraini. “Oggi come oggi gli affari vanno proprio come sotto Janukovich, i patrimoni vengono rubati” ha dichiarato “oggi arraffano i beni di Onishchenko. Ci sono molte voci su di lui, ma oggi ci sono molti imprenditori che vedono i propri affari aggrediti.”

a ciascun oligarca una passione: quella di Oleksandr Onishchenko era l'ippica

a ciascun oligarca una passione: quella di Oleksandr Onishchenko era l’ippica

E sono proprio il partito Batkivshchyna di Yuliya Tymoshenko e il Partito Radicale di Oleg Lyashko, che avevano iniziato l’avventura parlamentare con il Presidente per poi vedersi relegati all’opposizione, ad essere i maggiori candidati alle attenzioni della Procura Generale.

Lo scorso 15 luglio Groysman, irritato dalle proteste di Batskivshchyna per gli aumenti delle tariffe del gas imposti dal FMI,  ha spolverato e portato in Parlamento il documento firmato dalla “pasionaria arancione” nella sua qualità di Primo Ministro nel 2008, preludio dell’accordo con la Russia del 2009 e della traversia giudiziaria che poi portò la Tymoshenko nelle patrie galere. Ricordare questi eventi, sottolineando che allora si era stata perpetrata una truffa ai danni del popolo, costituisce una palese allusione al fatto che le porte del carcere di Kharkov in cui era detenuta Julia potrebbero anche rivelarsi sgradevolmente girevoli.

Quanto a Lyashko, il suo punto debole (oltre alla sua passione per per i giovanotti) sono le incursioni dannunziane del tempo della guerra civile, gesti il cui fine era farsi pubblicità e che hanno più disturbato che aiutato le operazioni militari: detto fatto è stato convocato nell’ufficio di Lutsenko che lo ha interrogato su una accusa per minacce intentata dal Procuratore dell’oblast di Chernigov. Per ora basta così, vedremo se capisce.

Quanto all’ “eroina” Nadya Savchenko, che dopo la liberazione ha avuto il buon gusto di candidarsi alla presidenza in faccia a Poroshenko e che sta inaspettatamente assumendo posizioni favorevoli alla riconciliazione nazionale, per lei non si muoverà Lutsenko, ma il consigliere del Ministero dell’ Interno, Anton Gerashenko, l’uomo dei servizi che segnala le liste di giornalisti da colpire ai più volenterosi squadristi sul sito dedicato Mirotvorez e che ha detto a brutto muso: “hanno introdotto un cavallo di Troia nelle anime degli ucraini”.

Per ora, quindi, ci si limita a colpire pesci piccoli e ad avvertire quelli grossi: ma non è detto che le cose non cambino presto.

Infatti la guerra cova sotto le ceneri nel Donbass. Esasperato dal rifiuto dell’ Unione Europea di consentire il tanto sospirato “regimi senza visti” a Kiev, concessione già annunciata ad aprile e slittata (per ora, di rinvio in rinvio) fino ad ottobre, Poroshenko ha messo sotto pressione i capi di stato Europei, i quali ottusamente gli hanno dato carta bianca e si sono appiattiti sulla sua linea negoziale: senza completa cessazione degli scontri non potrà trovare applicazione la parte degli accordi di Minsk spettante agli Ucraini, ovvero quella relativa al processo elettorale nelle regioni insorte da concordare con le Repubbliche ribelli (si vedano le dichiarazioni di Angela Merkel e Jean Claude Juncker). In pratica Merkel e soci hanno consegnato al Presidente Ucraino le chiavi della guerra o della pace alle loro porte di casa. Avendo promesso agli Ucraini sostegno economico e libertà di circolazione, e non volendo mantenere gli impegni, gli Europei non trovano di meglio che affidare quel popolo alle amorevoli cure di uno scaltro affarista trasformato dalle circostanze in tiranno. Davvero una mossa lungimirante.

"fate quel che volete degli Ucraini, purché non con i nostri soldi"

“fate quel che volete degli Ucraini, purché non con i nostri soldi”

Nello stesso tempo il governo russo, che si trova in periodo pre elettorale  e che, avendo presentato (non senza ragione) gli accordi di Minsk come un proprio successo, non ha intenzione di ammetterne il fallimento proprio alla vigilia delle elezioni, ha assunto un contegno remissivo, inducendo le Repubbliche di Donetsk e Lugansk ad un ulteriore, sfibrante rinvio (questa volta fino al 30 ottobre 2016) delle elezioni amministrative locali attese dalla popolazione da un anno e mezzo. Il che incoraggia ancora di più Poroshenko ad andare a giocare con i fiammiferi vicino alla polveriera.

Quello che gli serve non è tanto una conflitto in grande stile, a cui probabilmente il potere dell’Etmano del cioccolato non sopravviverebbe, quanto una fase bellica più cruenta del solito (o percepita dal pubblico come tale), che gli consenta di dichiarare decaduto Minsk 2 e, come aveva promesso al momento della sua conclusione, imporre la legge marziale in tutto il paese.

La proposta è stata avanzata il 19 luglio da Oleksandr Turchinov, Presidente pro tempore nel 2014, poi Presidente della Rada, ed ora relegato al ruolo secondario, ma in questo momento altrettanto prezioso, di Segretario del Consiglio Nazionale di Sicurezza e Difesa: “Se queste pericolose tendenze continueranno in Ucraina, prenderemo tutte le misure necessarie per proteggere l’integrità del nostro paese e la sicurezza dei suoi cittadini, fino ad includere nella agenda del Consiglio l’argomento della introduzione della legge marziale”. Una idea che ha immediatamente guadagnato consensi sull’ onda emotiva del quanto mai tempestivo omicidio del giornalista Pavlo Sheremet, immediatamente caricato dai media sul conto del “nemico alle porte” russo.

Come si sa, solo ai pazzi è consentito dire la verità al Re. Se ne è incaricata quindi Nadya Savchenko, che ha chiesto: “Perché ora? Per due anni non è stata imposta alcuna legge marziale. Perché vogliamo introdurla ora? Per qualche motivo? Perché tutto si fermi nel paese? Per arrestare ogni attività politica? Per impedire alla gente di scendere nel Maidan? Per fermare la stampa? Perché la legge marziale proibisce tutto questo.”. Buone domande. Chi sa per quanto tempo la sua pazzia la proteggerà.

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Articolo di Marco Bordoni per Saker Italia


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